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  • Immagine del redattoreSilvio Mancinelli

Due chiacchiere con Max Stefani



Dopo le ferie piano piano anche il mio blog comincerà a riprendere la sua attività fatta di musica ma non solo.

Ho l'onore di ospitare Max Stefani il quale non ha bisogno di presentazioni.


Ciao Max sei stato un pioniere della critica musicale italiana e dal Mucchio sono usciti tanti colleghi che fanno ora la fortuna di radio e televisioni. Come è cambiato il ruolo del critico musicale ad oggi?


Più che il mestiere di critico (che però è una definizione che non amo, preferirei ‘studioso’) è cambiato l’oggetto musica. Credo che il giornalismo rock sia finito, perché è finita la musica rock, o pop come la si voglia chiamare. Siamo dei dinosauri. Del resto stessa cosa succede a chi scrive di jazz, di classica, di pittura. Forse tra le arti l’unica che dimostra buona salute è il cinema. Quindi il ruolo del ‘critico musicale’ è vendere aria fritta o narrare storia antica. Detto anche che in Italia ci abbiamo sempre capito poco di musica uk-usa, vivendo noi ai confini dell’Impero.


Sei molto prolifico da un punto di vista della produzione musicale. Il libro che ho amato di più è “In rock we trust”, perchè parli del movimento italiano musicale con i locali, giornali e tv. Con la crisi della carta stampata, la musica fatta di tormentoni musicali in tv e alla radio, e soprattutto con il covid che non permette a band di nicchia di farsi vedere in pubblico, in che direzione va la musica?


Non va in nessuna direzione, è solo ‘muzak’, sottofondo buono per supermercati o ascensori. O per rimbambirsi nelle discoteche.


Come è andata la tua avventura in Rai? La prima volta che ti ho visto mi è preso un colpo! In quello spazio nel quale si parla di Al Bano e Romina, c'era uno che parlava di rock!


Da un punto di vista professionale molto interessante non avendo io mai fatto tv, tantomeno in RAI. Mi sono molto divertito pur essendo stato messo in un contenitore (RAI1 mattina) dove ero un alieno che poco ha potuto fare. Ma certi meccanismi studiati sul campo si capiscono meglio. Come l’ambiente RAI. Mi dispiace solo che pur essendo entrato non sono riuscito a dare un seguito più ‘serio, più consono alla mia storia e ai miei gusti, perché d’idee di programmi rock ci sono. Non che mi aspettassi qualcosa dentro RAI1 ma almeno su RAI5. Invece niente. Non gliene frega niente. E comunque io non mi sono mai saputo vendere. Negato. E in quell’ambiente il ‘leccaggio’ e le ‘conoscenze’ sono fondamentali’.


Ora fai praticamente il ricercatore: da poco è uscito un tuo libro sul Southern Rock e a settembre uno sul John Mayall e il british-blues sixties, non credi che a scuola, al posto del flauto converrebbe studiare la musica e la sua storia, magari anche con qualche tuo testo?


L’insegnamento della musica a scuola è storia vecchia. Non ci sarà mai spazio perchè non è proprio nel DNA di chi comanda.


Ultima domanda: se ci fosse la possibilità ora di fare un giornale, come

lo faresti?


Come Outsider. L’unica via possibile. Un giornale di qualità per over 50 con un attento e selezionato occhio anche sulle novità. Ma tutto tradotto dal mercato USA-UK. Noi, ripeto, di rock non ci abbiamo mai capito un cazzo. Compreso me.

Grazie!




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